Forse con i mezzi a due ruote non ho un buon feeling.

Qualche giorno fa stavo andando per commissioni in giro per Milano, pedalando sulla mia vecchia e arrugginita bici da battaglia (quella su cui mi vedete arrivare in piscina il mercoledì sera). Ricordo che percorrevo la via Ricciarelli e, come al solito, andavo di fretta.

Di quello che è successo dopo, ho un ricordo molto vago e annebbiato: una signora, chinata su di me, mi teneva una mano e mi diceva: “Mi guardi negli occhi… riesce a vedermi?”… “Si” … “Provi a muovere le dita della mano, ce la fa?” … “Si” … “Riesce a muovere il braccio?” … “No” … Rispondevo automaticamente a tutte le domande, senza rendermi conto di quello che stavo facendo, come un bambino, che risponde alle domande della maestra. Nel frattempo era arrivata un’altra signora, con un bicchiere d’acqua in mano, e me lo ha porto: ho tentato di prenderlo, ma non riuscivo a muovermi. La signora n°1 allora ha ripreso l’interrogatorio: “Che cosa le fa male?” … “La testa”.

A questo punto cominciavo a rendermi conto di quello che era successo. In mezzo alla strada c’erano i pezzi della mia bicicletta: parte della forcella anteriore, con la ruota attaccata, un po’ più in là il manubrio, con i fili del freno attaccati, un po’ più in là il resto. La signora nel frattempo ha messo mano al cellulare e ha chiamato l’ambulanza. Anch’io ho tirato fuori il cellulare dalla tasca, con un po’ di fatica; il braccio sinistro funzionava ancora (e anche il cellulare funzionava ancora). Ho chiamato la Luis, che fra l’altro stava transitando in macchina poco distante, e che, ancora una volta, è accorsa, arrivando più o meno insieme all’ambulanza.

Con la dottoressa della Croce Rosa – Celeste (si stava giusto parlando di bimbi e di maestre), abbiamo tentato di ricostruire l’accaduto durante il tragitto in ospedale: il cannotto dello sterzo arrugginito si era spezzato in due, probabilmente scendendo da un marciapiede e la forcella anteriore se ne era andata per i fatti suoi, lasciandomi in mano il solo manubrio, staccato dal resto, e io sono finito con la faccia per terra. Un esame accurato dei resti della bici hanno poi confermato questa tesi: quello che rimaneva del cannotto di sterzo sembrava fatto di carta stagnola sciolta nell’acido.

In ospedale, dopo una TAC alla testa e un certo numero di radiografie, mi hanno diagnosticato il trauma cranico (due giorni sotto osservazione) e la rottura della clavicola. Mi hanno legato come un salame (del resto era quanto mi meritavo), mi hanno immobilizzato un braccio e mi hanno detto: “Questo te lo tieni per 40 giorni”.

Questo incidente segue una decina di altri incidenti, avvenuti a cavallo di un mezzo a 2 ruote, che mi hanno procurato fratture e traumi nel corso degli anni. Le moto da Enduro erano già state “appese al chiodo” una ventina di anni fa. Forse è arrivato il momento di appendere anche le biciclette.

Una raccomandazione: se per andare in giro per la città usate una vecchia bici, date un occhio all’attacco della forcella davanti, sotto il cannotto di sterzo.

Gian

P.S.1: Non cercatemi nella Classifica degli Europei di Winter Triathlon

P.S.2: SE QUALCUNO VUOLE FARE LA GARA DI DUATHLON A ROMANO DI LOMBARDIA AL POSTO MIO, GLI REGALO LA MIA ISCRIZIONE. FATE GIRARE.