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TURCO - Invernal K20/11

Inserito da mt-run il 28/01/2012 alle 15:58 nella sezione cross & trail

98esimo su 181.

Domenica 22 gennaio ho partecipato all' "Invernal K20/11". Questo incipit mi ricorda un po' i temi che facevo il lunedì mattina alle scuole elementari, spesso incentrati sull'occupazione della domenica e così piattamente cronachistici.

Diciamo che sono indotto a ripetere questa esperienza da due fattori:

1. Gli incentivi che il TURCO dispensa agli autori dei resoconti; 2. La tracheite che mi è presa dopo la gara a che mi tiene al chiuso.

Partirei da questa seconda e dal fatto che ho passato gli anni dagli 8 ai 38 senza prendere antibiotici e, in quest'ultimo anno, è il quarto ciclo che faccio. Uno zio medico mi ha dato questa spiegazione: c'è un tempo in cui si è in auge e un altro…

Ho capito: la perfetta parabola della mia attività atletica, dove per "auge" si intende il mio picco, nella sua sconfortante modestia.

L'inverno è fatto così: niente ti butta giù dal letto per farti 20km.

Per me, è evidente, è finita l'epoca della grande motivazione. La corsa ha svolto il suo ruolo di esaltazione e compensazione.

E ora ci rimango aggrappato come quelle attrici che si fanno tirare la pelle e accorciano la gonna.

Quindi, se voglio tenermi in forma, tra una tonsillite, una bronchite ed una tracheite, devo scovare qualche gara.

La mattina mi sveglio col pizzicorio in gola. Ma le previsioni danno bel tempo e parto alla volta di Carpignano Sesia.

Il ritrovo è in un campo sportivo e quando arrivo l'atmosfera è quella serena e distesa dei trail.

Ci sono 4-5 gradi. Non fa nemmeno troppo freddo.

Mi cambio e mi metto a vagare con il borsone. Chiedo ad uno dell'organizzazione dove si possono lasciare. Si va ad informare e, siccome lo reincontro, perché nel frattempo era stato distratto da altre incombenze, mi dice che posso lasciarlo dove voglio. Se credo, dove danno i pettorali.

Lì mi dicono che è meglio lo spogliatoio e il borsone ritorna nel portabagagli dell'auto.

Si parte, alle 10 e qualche minuto.

Mi aspetto molto dai luoghi di questo territorio. A me piacciono i fiumi, la loro acqua azzurra e trasparente (spesso più immaginata che reale) e sono felice di potere correre sul fianco del Sesia.

Ora, in tutta onestà, questo è stato l'aspetto più deludente.

Perché il fiume lo si è intravisto, nei tratti corsa sopra gli argini, ma poco poco. Per il resto il percorso si è snodato tra boschi e spianate angoscianti.

L'aggettivo è forte, ma lo uso scentemente. Perché c'è, nel mio profondo, una combinazione che mi evoca angoscia: cielo traslucido, alberi marrone sbiadito, ghiaia, vastità.

E' come se quel territorio così spoglio (in senso lato), così anonimo e piatto, portasse con sé l'angosia di anime depresse, silenziose.

Il silenzio, comunque, era rotto dagli spari dei cacciatori. Ad un certo punto mi trovo a correre vicino ad un cantiere per l'estrazione della ghiaia. Una cattedrale di ferro arruginito, un intrico di tubi e scalette e serbatoi, piazzato in mezzo al fiume.

E per contrasto, e perché si vede che non sto bene, mi ritrovo a pensare alla violenza dell'uomo sulla natura, non intesa come brutalità, ma piuttosto come il raschiamento del fondo di un barile, animato dall'avidità, dalla propensione all'effimero.

Tutto è così grigio, così austero e spento.

Per fortuna che al primo ristoro c'è del salame tagliato a fette. Me ne mangio tre.

Sul piano tecnico, mi viene da riportare una ottima segnalazione del percorso e la totale assenza di disturbi motorizzati.

All'arrivo mi dicono che la doccia è ghiacciata.

Nello spogliatoio mi cambio senza lavarmi (forse a quest'ora, fatta una bella doccia artica, per paradosso, non avrei la tracheite). Ma mi diverto a sentire i commenti attorno, che sono una delle parti che più apprezzo di queste gare.

No, non cose tipo "al quindicesimo sono andato… Stavo sui 4 e 30 ma poi ho detto: 'adesso aumento'". No… Piuttosto questo: "Oh…, mi ha superato una f. da paura!". Non ho udito benissimo, mi pare intendesse una faina. Io non l'ho vista.

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